Le Recensioni da Venezia 75: Roma di Alfonso Cuaròn
Grande successo per l'anteprima mondiale di Roma di Alfonso Cuaròn alla 75 Mostra del Cinema di Venezia.
L'opera magistrale del regista messicano della durata di 135 minuti e interamente girata in bianco e nero, sembra aver colpito particolarmente critica e pubblico rendendolo uno dei candidati favoriti all'ambito Leone d'Oro e, chissà, magari ad altri importanti riconoscimenti cinematografici nell'imminente stagione dei premi.
Guardare Roma di Alfonso Cuaròn è come vedere un uomo perlustrare gli archivi della sua mente, è come partire con lui in un viaggio alla scoperta del proprio passato. È un film molto diverso dai precedenti a cui ci ha abituato: diversamente dai trionfi passati come Gravity, Children of Men o anche Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, il regista mette a tacere lo showman dentro di lui ed elimina ogni senso di narcisismo cinematografico, ricercandone invece la vera purezza, propone allo spettatore un'opera intensamente personale e più provocatoriamente politica.
Il film è ambientato nel quartiere medioborghese Roma, situato a Città del Messico, e nei suoi dintorni durante i primi anni '70. Il film si apre su una lunga inquadratura che dall'alto verso il basso mostra alcune piastrelle del pavimento. Nella sua interezza, traccia un anno tumultuoso nella vita di Cleo, la persona che sta gettando acqua sulle piastrelle. Si tratta della domestica tuttofare di una famiglia benestante i quali compiti sembrano non finire mai: passano dal dare il bacio della buonanotte ai bambini al ripulire gli escrementi del cane.
Cleo ci appare come una donna che sta sobbalzando sull'onda della storia. È difficile descrivere la performance di Yalitza Aparicio come qualcosa di diverso dal miracoloso: riesce a incarnare una persona che accetta il suo destino, intrappolata tra classi e culture, ma assolutamente senza paura quando si tratta di proteggere coloro che ama.
“Cleo faceva parte della mia memoria e finalmente ho potuto raccontare la sua vita. Nella mia famiglia erano le donne che portavano avanti la casa, non gli uomini, che non c’erano”.
il film non segue una struttura tradizionale in tre atti, ma anzi si svolge su dettagli che potrebbero sembrare estranei, un film che si presta ad essere un omaggio a un luogo che ormai esiste solo come immagini sparse e interiorizzate.
Da notare come la camera sia bloccata a livello degli occhi per gran parte del film. Ogni tanto sembra che il regista abbia inviato una sonda indietro nel tempo per catturare il modo in cui una volta vivevamo. Questo rende le emozioni più genuine, quasi come se fossero viste in un documentario.
All'interno della carriera di Cuarón, e probabilmente nell'intera storia del cinema, è difficile trovare un film "precedente" a questo. Potrebbe sì avvicinarsi alle corde di Amarcord ma, a differenza del film di Fellini, è una lettera d'amore agli amici e un nuovo modo di guardare il passato sullo schermo. Questo è senza ombra di dubbio la sua opera magna: emotiva, mai melodrammatica e sublime nell'impegno nei confronti dei dettagli.
L'opera magistrale del regista messicano della durata di 135 minuti e interamente girata in bianco e nero, sembra aver colpito particolarmente critica e pubblico rendendolo uno dei candidati favoriti all'ambito Leone d'Oro e, chissà, magari ad altri importanti riconoscimenti cinematografici nell'imminente stagione dei premi.
Guardare Roma di Alfonso Cuaròn è come vedere un uomo perlustrare gli archivi della sua mente, è come partire con lui in un viaggio alla scoperta del proprio passato. È un film molto diverso dai precedenti a cui ci ha abituato: diversamente dai trionfi passati come Gravity, Children of Men o anche Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, il regista mette a tacere lo showman dentro di lui ed elimina ogni senso di narcisismo cinematografico, ricercandone invece la vera purezza, propone allo spettatore un'opera intensamente personale e più provocatoriamente politica.
Il film è ambientato nel quartiere medioborghese Roma, situato a Città del Messico, e nei suoi dintorni durante i primi anni '70. Il film si apre su una lunga inquadratura che dall'alto verso il basso mostra alcune piastrelle del pavimento. Nella sua interezza, traccia un anno tumultuoso nella vita di Cleo, la persona che sta gettando acqua sulle piastrelle. Si tratta della domestica tuttofare di una famiglia benestante i quali compiti sembrano non finire mai: passano dal dare il bacio della buonanotte ai bambini al ripulire gli escrementi del cane.
Cleo ci appare come una donna che sta sobbalzando sull'onda della storia. È difficile descrivere la performance di Yalitza Aparicio come qualcosa di diverso dal miracoloso: riesce a incarnare una persona che accetta il suo destino, intrappolata tra classi e culture, ma assolutamente senza paura quando si tratta di proteggere coloro che ama.
“Cleo faceva parte della mia memoria e finalmente ho potuto raccontare la sua vita. Nella mia famiglia erano le donne che portavano avanti la casa, non gli uomini, che non c’erano”.
il film non segue una struttura tradizionale in tre atti, ma anzi si svolge su dettagli che potrebbero sembrare estranei, un film che si presta ad essere un omaggio a un luogo che ormai esiste solo come immagini sparse e interiorizzate.
Da notare come la camera sia bloccata a livello degli occhi per gran parte del film. Ogni tanto sembra che il regista abbia inviato una sonda indietro nel tempo per catturare il modo in cui una volta vivevamo. Questo rende le emozioni più genuine, quasi come se fossero viste in un documentario.
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